“La mia Waterloo ventricolare”. Intercity n° 147. Intervista a Roberto Di Egidio.

Roberto Di Egidio

Come andare a pesca di cefali, ovvero di poesie – di Jenny Pacini

“Butto la pastura e aspetto. Poco dopo le poesie iniziano ad arrivare, in piccoli gruppi…poi al momento giusto, esco allo scoperto e con un guizzo ne catturo una.”

Si intitola “La mia Waterloo ventricolare” (Neo Edizioni, 10 euro) la raccolta di poesie di Roberto Di Egidio, ex bassista dei Giuliodorme, nato in Abruzzo negli anni ‘70 e per questo – secondo quanto scritto nella sua autobiografia- amante del bianco e nero e della buona cucina. Le sue poesie arrivano dal quotidiano – un televisore, un flacone di shampoo, un gabbiano, una città- ed è proprio da qui che scaturiscono straordinarie riflessioni sull’esistenza, sull’amore, sulla contemporaneità e sulla musica. Nei versi poco accademici, anarchico-ironici di Roberto, c’è un non so che di AvantPop, lo si intuisce dai personaggi dei cartoon, da quel gusto per la parcellizzazione del corpo e per l’utilizzo di termini scientifico-matematici. Al contrario dell’estetica tutta postmoderna di accettazione del relativismo più totale, in cui è assente ogni traccia di metafisica, il nostro pescatore di cefali riesce a scovare un misterioso senso di speranza e di assoluto: “C’è una cosa che rimane sempre: la bellezza. L’universo lo puoi considerare come dimensione assoluta e come qualcosa che vista nel particolare può avere tanti aspetti che puoi non condividere, però ha una sua armonia e una sua bellezza che si possono narrare, si devono narrare. La vita è già abbastanza pesante ed è inutile calcarci sopra la mano. Mi piace invece comunicare che c’è anche qualcos’altro aldilà, è testimoniabile: nel silenzio tutto da ascoltare.”

Il mondo della musica al quale sei indissolubilmente legato riecheggia anche nei tuoi versi, specie nella raccolta di dediche a grandi personaggi del calibro di Charlie Parker, Bud Powell, Demetrio Stratos…

Nell’antichità la poesia e la musica erano legate, io cerco sempre di trovare un equilibro sonoro in quello che scrivo, a seconda dell’argomento che tratto uso sonorità diverse. Le dediche ai musicisti sono dei tributi alle persone che mi hanno influenzato nella formazione musicale.

Per te fare poesie è un pò come buttare la pastura e aspettare di pescare cefali, raccontacelo.

Questo lo spiego nella postfazione del libro, piuttosto direi che le poesie esistono al di là di te… noi siamo solo dei tramiti, radio che recepiscono un’onda sonora e la trasformano in qualcosa che gli altri possono leggere e ascoltare. L’ispirazione è una parola vuota, esiste un’attitudine. Io cerco di fare silenzio e di ascoltare.

E poi?

Inizio ad immaginare e parto da pochi elementi che visualizzo mentalmente e su questi rifletto, li faccio maturare dentro, man mano queste cose si allargano e danno vita ad uno scenario più grande, che si struttura, e quando questo si completa, so quello di cui voglio parlare. Solitamente la parte centrale è di costruzione. Ci sono poesie che mi hanno richiesto due mesi – cefali più difficili- ed altre solo due minuti.

Quanto contano l’ironia, la parodia e la vivacità nella tua poesia?

Contano moltissimo. Il gioco è la dimensione fondamentale. È costitutivo di qualsiasi cosa, ti dà soddisfazione… C’è un bambino che vive dentro di noi.

Qual’è il tuo intento quando scrivi?

Indurre il lettore ad una riflessione. La poesia agisce su certi canali, lavora con gli archetipi nell’inconscio e nell’identificazione. Parlo di una realtà contemporanea ed i simboli che tiro in ballo sono legati al presente, per quello nelle mie poesie ci sono Batman, scenari nucleari e skater.

Oltre a scrivere di quotidianità, di sesso, amore e odio, scrivi HAIKU: fiori preziosi della poesia giapponese.

L’Oriente è entrato nel mio percorso di studi, mi interesso di filosofia e sacre scritture.. Come tutte le cose che vengono dall’oriente, gli Haiku sono preziose cesellature. La loro composizione è un rito: il getto d’inchiostro delimita uno spazio nel quale si può ascoltare il respiro che unisce tutte le cose del mondo. Io non ne rispetto tutte le regole, scrivo in versi liberi.

Oriente e Occidente: entrambe sono componenti costanti nelle tue poesie.

Sono le due parti che costituiscono l’Unità, non sono in contraddizione tra loro. Viviamo in un’epoca in cui il pensiero occidentale – materiale e razionalistico- e quello orientale, stanno arrivando alle stesse conclusioni partendo da punti di vista completamente differenti. Oggi la meccanica quantistica arriva a dire cose che la filosofia orientale diceva un sacco di tempo fa.

Attualmente vivi e lavori a Barcellona, cosa ti manca di Pescara?

Più che Pescara mi manca l’Abruzzo: la mia terra. Mi manca quell’ironia, che se dovessi configurare in un intellettuale, la vedrei in Ennio Flaiano. E poi mi manca la nostra capacità di guardare le cose con semplicità. Nel nostro vivere quotidiano, nel fare battute in dialetto, siamo sempre molto pregnanti di ironia e leggerezza, pronti a ridere anche di situazioni difficili.

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