La mia Waterloo ventricolare o la poetica del “minuscolo” – di Simone Gambacorta
Roberto Di Egidio è autore della raccolta di poesie “La mia Waterloo ventncolare” (apparsa per i tipi della intraprendente e benemerita Neo Edizioni, pp. 142, Euro 10) ed è soprattutto uno che sa scrivere, nel senso che ha qualcosa da dire e sa come dirlo. Non è poco, tanto più se si tiene conto della “giovane” età del nostro, nato negli anni ’70 in Abruzzo (non si sa però dove). Ma tagliamo corto: molte delle poesie di Di Egidio sono bellissime. Bellissime per quello che dicono e per come lo dicono, per la loro capacità di essere nuove e lievi senza risultare manierate, originali senza suonare finte, autentiche senza apparire forzate. Di EgIdio la sua poesia la fa con la pelle, stando nel mondo di oggi, al passo con i tempi, con la contemporaneità. Ecco “Shampo”: «galleggia I nella vasca da bagno / in direzione della parte emersa / delle mie ginocchia / ribattezzate per l’occasione / scilla e cariddi / il flacone quasi vuoto dello shampoo / ma il moto ondoso / che ne accelera l’incedere / non è provocato dai miei / peraltro Impercettibili movimenti / quanto dal fenomeno sismico / cbe da circa trenta secondi / interessa buona parte del centro sud della penisola / mia madre mi implora / da dietro la porta / di ripararini sotto lo stipite / prevenendo così le conseguenze / di un imminente crollo / ma io / nemmeno le rispondo / preso come sono / dalle sorti di questo naviglio di plastica / prossimo ormai al baratro / che si apre tra i due mostri».
Per Di Egidio potremmo parlare di una “poetica del minuscolo”. La poetica del minuscolo si oppone a quella bolsa e fangosa del maiuscolo, intossicata dall’ impegno goffo o dallo struggimento piagnone di chi si sente “molto” poeta e amoreggia con la retorica e la magniloquenza. Lui invece dice quello che sente dalla piccola specola “non letteraria’ (e meno male: anche se a modo suo cita; magari dissacrando, ma cita: Calvmo come Leopardi) di chi sa guardare intorno e dentro sè perché sta ficcato nella vita masticando quello che la quotidianità gIi sbatte in faccia.
Simboli, metafore e compagnia bella, nel caso, vengono fuori da soli, anche grazie a un immaginario pop sempre a portata di mano. E poi c’è il tenersi a braccetto dell’ironia e dell’autoironia, perché tutto va bene per stemperare e dissimulare la tragedia, la paura e il dolore in un dettato che si lascia leggere come in discesa: una corrente d’aria calda (una voce) che carezza le cose, che si adatta loro in modo e con moto proprio, non per assecondarle, non per blandirle, ma per descriverle e “vederle” senza mentire, senza fingere, senza derogare ai voleri di quell’acume che, cammin facendo, scopriremo essere contiguo a un sempre sia lodato senso critico. La prova del nove è l’amore, tema che Di Egidio affronta con la consueta leggerezza del minuscolo: «ora so / che il mio malessere / ha origine nel lato sinistro del tuo corpo / che cela ben nascosta / una piccola dentellatura / è con quella / che stracci ciò che ti circonda / me compreso» (“Ora so”).