(Elogio del tragicomico in letteratura)
Forse la colpa è in parte di Jacovitti. La colpa o il merito.
Quand’ero molto piccolo, nella biblioteca del mio paesello appena costituita arrivò un librone a fumetti dalla copertina blu, con le avventure di Cocco Bill. Mi faceva venire l’acquolina in bocca, e non goccioline: ettolitri, autobotti. Io ero un lettore accanito di Tex e Topolini, ma capii subito che quello era un altro pianeta. Convinsi mia mamma a farmi fare la tessera, e presi a usarla in modo compulsivo per requisire il librone blu. Non potevo resistere alla sua fascinazione. E siccome c’era un rigoroso limite di tempo per tenersi i libri, e di fregarlo all’Istituzione Comunale non se ne parlava, continuavo a prenderlo in prestito, restituirlo e riprenderlo. Restituirlo e riprenderlo. La mia scheda di giovanissimo lettore si arricchiva di titoli: Cocco Bill, Cocco Bill, Cocco Bill… In biblioteca, invece di intenerirsi per la mia infatuazione, mi guardavano come se fossi stato un deficiente, incapace di leggere altro. “Sarebbe ora di accostarsi a letture diverse”, m’intimò una signora severa e accigliata, poco propensa a farsi i coccobillazzi suoi. Speravo che in casa qualcuno capisse l’antifona e me ne regalasse uno uguale, ma ciò non avvenne mai.
Probabilmente il mio folletto dispettoso – ironico, grottesco, satirico, irriverente e caricaturale – è nato da lì. Dopo un’infanzia di mezzi salami coi piedi, tranci d’invalidi confederati a rotelle, pistoleri che ordinavano camomilla al saloon, risse paesane in cui volava e strisciava di tutto, come potevo venir su serioso e piagnucoloso?
Potevo forse diventare l’irreprensibile redattore di barbosi giornalini liceali, autorizzati ed encomiati dal preside? No. Fondai L’Inkazzo Periodiko. Clandestino e volgare. Roba che se me lo beccavano finivo espulso da tutte le sqhuole del globo.
Proprio non mi riesce di scrivere senza divertirmi e senza la voglia di far divertire, salvo rarissime e cupissime eccezioni. E questo succede anche (e soprattutto) nello scrivere cose “serie”. Coi romanzi che scrivo (e quelli che voglio leggere) si piange abbastanza ma si ride sempre molto. Per me il Tragicomico non è un ramo opzionale della narrativa: è LA narrativa.
Alcuni anni orsono feci leggere a una mia biscugina che vive in Toscana Agonia di una fata e altri sfaceli, cioè le centinaia di pagine del diario dei tre mesi e mezzo che passai ad assistere la mia dolce madre che stava morendo di tumore al pancreas, diagnosticato (per sua fortuna?) tardissimo. La biscugina mi fece poi sapere che avrebbe voluto prendermi (teneramente e con affetto) a cazzotti, perché la folle ricchezza di quel diario la obbligava, ogni volta che si trovava al culmine della commozione e della più angosciosa tristezza, a scoppiare a sghignazzare come una matta per una mia battutina, una mia annotazione, un mio modo di cogliere una qualsiasi quotidiana sfumatura umoristica. Le lacrime di pianto si mescolavano a quelle di riso, e questa schizofrenia la faceva sentire al tempo stesso benissimo e a disagio, quasi in colpa.
Io continuo imperterrito, fra me e me, a considerarlo un pregio. E invece in Italia non te lo perdonano. Forse perché scrivendo così fai fare cilecca alle loro etichettine del cazzo, mandi a vuoto le loro colte elucubrazioni imparate a memoria, gli impedisci di far finta di capirci qualcosa, d’incasellarti nelle loro dotte e rassicuranti categorie andate a male, che puzzavano di stantio già verso fine Ottocento (quarto d’ora più, quarto d’ora meno). Insomma, che cazzo ci avrai da ridere, se stai scrivendo il diario di tua mamma che muore? Dovresti “interrogare” la disperazione, e basta. (Nel modo più palloso e stereotipato possibile, così magari ti contattano i grandi editori…)
Vaglielo a spiegare che il motivo era consolare lei, e che ogni risata mi costava carissima, mi faceva vacillare come un eroe stanco e ferito, stremato, come uno di quei clown che nell’istante stesso in cui ti fanno divertire si pianterebbero una pallottola misericordiosa nella testa.
Una volta Aldo Busi saltò su a dire che “il romanzo borghese”, anche se nessuno se ne vuole accorgere, “è sempre COMICO”. E giù a far esempi di romanzoni dove non sorridi mezza volta in quattrocento pagine, nemmeno a farti una pera di gas esilarante. Comincio a pensare che considerare comico ciò che non lo è affatto sia molto snob, da circolo culturale delle cariatidi muschiate. “Cavo dottove, ha visto la Covazzata Potemkin?” “Cvisto, che visate! E lei ha viletto Dagevman?” “Da pisciavsi addosso, guavdi!”
(Piccola, doverosa precisazione: io ADORO Stig Dagerman, ma non arriverei mai a definirlo divertente. Qualche intellettualone italiano ne sarebbe, temo, capace).
Noi poi siamo pieni di editor parrucconi con otto lauree sociofilosofiche secondo i quali l’ironia sarebbe inevitabilmente “superficiale”, e di conseguenza stupida, ingenua, banale, non degna di interesse. (Mentre se sei vagamente brillante l’etichettozza marcia che tirano subito fuori per bollarti e cestinarti è “autocompiaciuto”.)
Se gli spedisci cose che fanno (anche) ridere manco ti rispondono, o peggio ancora ti rimandano con sdegno alle collane umoristiche. Che però, guarda la sfiga, pubblicano solo famosi guitti televisivi. E quelli sì che non fanno ridere nessuno! (Al confronto, Dostoevskij era Totò).
Un paio d’anni fa lessi un libro intitolato Il lamento del Bradipo, di Sam Savage. Carino assai, ma in definitiva mi piacque poco, mi deluse, mi lasciò con l’amaro in bocca, perché a mio parere sprecava le promettenti premesse iniziali (un uomo solo, indebitato, fallito, direttore – e probabile unico lettore – di una fantomatica rivista letteraria, che vive in una cadente stamberga e scrive forsennatamente tutto lo scrivibile: lettere ad amici, a scrittori e alla ex moglie, biglietti, bigliettini, cartelli, comunicazioni commerciali, liste della spesa, spezzoni di un suo personale spunto narrativo, ecc.) in un risultato che alla fine si rivelava modesto, noiosetto, tirato per le lunghe e tristanzuolo – l’occasione sprecata di partorire un testo geniale. Aveva le potenzialità e gli ingredienti per diventare uno dei più spassosi (e non per questo meno drammatici!) libri di sempre, e invece era uno stracco e stiracchiato e prevedibile esercizio letterario, zeppo di déja vu.
Ma, incredibilmente, in quarta di copertina, Pietro Citati strillava: “Savage è spiritosissimo e divertentissimo ed eredita tutte le corde del riso: shakesperiano, cervantino, swiftiano, dickensiano, carroliano, stevensoniano, chapliniano”. (??) A me, nonostante la maestosa meravigliosità dei nomi evocati, è venuto sonno (o da spararmi a un piede) già a leggere queste tre righe citatiane… Mancava solo che aggiungesse “proustiano, kafkiano, pavesiano e bergmaniano”: in fondo, chi di voi non si è mai scompisciato con Ingmar Bergman? Dire “TUTTE le corde del riso” e poi esemplificare “shakespiriano ecc…” significa non avere (non VOLER avere) nessuna dimestichezza con le potenzialità del riso e con le evoluzioni del comico. Forse bisognerebbe fare almeno il magnanimo sforzo di scendere dalla cattedra e “abbassarsi” (abbassarsi?!) in direzione di Queneau, Gary, Flaiano, Leyner, Lethem, Vidal, Bukowski, Barthelme, Bloch, Amis, Shaw, Donleavy, Richler, Lodge, Shteyngart, Hemon, Benni, Bergonzoni, Auslander, Bruce, Brooks, Zucker, Abrahams, Woody Allen… se non altro per darsi un’aggiornatina e una rinfrescata.
Niente da fare: in Italia se fai ridere (se fai ANCHE ridere) sei di serie B.
Se invece non strappi una risata stiracchiata manco alle jene ridens, se non fai sorridacchiare neppure per sbaglio, se faresti incupire persino un bambino in piena crisi di stupidera, salterà sempre fuori un accademico erudito a dire che sei “spiritosissimo e divertentissimo”.
Mah. Del resto, non credo sia un caso se una delle mie citazioni strapreferite è questa invettiva bukowskiana: “Altri sbadigli e merda di cane morto sulla povera anima già in frantumi”.
Ci sarebbe di che impiccarsi. Con un bel sorriso sulle labbra, ovviamente. Così non capiranno un tubo di me nemmeno da estinto: estrema soddisfazione!
Ma per fortuna esiste la Neo: mi fa sentire come Bukowski quando incontrò la piccola e provvidenziale Black Sparrow. Grazie a loro, dopo lo Zio Buk ci sarà, forse, un posticino anche per lo Zio Nick, e quel bambinetto fissato con Jacovitti potrà essere ricordato come un cucciolo di scrittore, e non di deficiente.
25 Comments
Sai Nico’ se io ti do ragione per l’intero tuo editoriale poi magari mi dici che sono un leccaculo, ma a me non me ne può fregare di meno. Fai pure.
Se io facessi parte di una casa editrice – per mia e altrui fortuna non potrà mai avvenire – darei a te l’incarico di recensire libri.
Che faccio ti saluto con affetto? Ma sì dai,
aldo.
Caro Aldo, spero di non passare per leccaculo pure io se ti dico che sei una persona fantastica. Hai più anni di mio padre e più curiosità e vivacità di un bambino: ti dovrebbero clonare! 🙂
Un saluto affettuoso anche a te.
Stai correndo come il vento Nicola. Chi ti prende più?!?
Avremo la consolazione di dire ” Io lo conoscevo ancor prima che diventasse famoso!”
Cristiana
Grazie Cristiana: davanti a questi pronostici, non so mai se sperare che siano azzeccati o se fare gli scongiuri. Ma in realtà io non cerco la “fama”. Datemi 5.000 Lettori come te, e io firmo a vita!
Caro Zio, tu sei già famoso e presto te ne renderai conto.
Un abbraccio. 🙂
ma io quel libro di Cocco Bill della biblioteca lo conosco eccome (forse sarà una copia più nuova, mi ricordo una copertina rossa (?), andrò a ritrovarlo :D)
detto ciò, mi risulta difficile commentare o aggiungere altro, facciamo che mi associo a quanto dice Lenny, che ritengo oltremodo vero 😀
Danke, ragazzi. Ti abbraccio anch’io, LeNny. Ma, Emi, vuoi forse insinuare che qualche comunista è andato nottetempo a dare una mano di vernice alla copertina? (O magari è stato Corradino col suo ormai famoso mattone rosso friabile, quello che usava per le panchine grigie… :))
Visto che il dibattito si sta allargando e internazionalizzando (eddài, lasciatemi far finta che quello qua sopra non sia spamming… :D) aggiungo un altro piccolo contributo alla discussione fra lettori, Nicola Pezzoli, Zio Scriba e Paolo Lizzenci (a proposito: potrebbe esser previsto un premio in denaro per chi scopre chi cazzo sia in realtà Paolo Lizzenci! – ma zitti i due o tre a cui l’ho detto io, altrimenti MENO):
Un’amica mi ha dato una notizia bomba che mi ha fatto saltare sulla sedia (vabbè, facciamo una notizia petardo, sono ancora vivo): una libraia le ha chiesto se il mio romanzo “è un libro di scuola”. “Perché so che lo stanno facendo leggere a scuola!”. Fosse vero, sarebbe fantastico. E non solo, egoisticamente, per me. Lo sarebbe soprattutto (modestamente) per i ragazzi, di solito destinati a diventare non lettori, amebe pleistescionizzate, bistecche da discoteca, morti viventi (anzi, morti morenti) buoni solo per produrre e riprodursi, anche per colpa di una sqhuola che non fa che proporre letture PALLOSE, facendogliele odiare (ne so qualcosa: succedeva persino al giovane Scriba!!!! – finché non arrivò un’insegnante geniale a proporre Raymond Queneau), mentre l’aver a che fare con un testo da un lato avvincente, con risvolti noir e semihorror, ma dall’altro impertinente (oltre che tenero) e superdivertente (insomma, per tornare al mio editoriale, TRAGICOMICO), potrebbe far nascere in loro (in pochissimi di loro, lo so, inutile illudersi) l’amore, o almeno la curiosità, per la Lettura.
Già, chi cazzo sono, io?
Vorrei tanto che qualcuno me lo spiegasse.
pure a me piaceva Coccobill (passione fra l’altro ereditata dal babbo)! era davvero una calamita per gli occhi…
sul tragicomico non si può che approvare incondizionatamente! come diceva Ambrose Bierce, anche i soldati ridono fra una battaglia e l’altra…:)
Scrivere per divertire e contemporaneamente far riflettere è molto più difficile che tirar fuori storie strappalacrime per far strage di (balle e) consensi.
Non so come funzioni all’estero, ma in Italia sembra che gli autori satirici e ironici siano messi in secondo piano, quasi fossero scrittori di serie B.
Massima stima per chi, come te, si impegna per non produrre le solite pacchianate. E un grosso in bocca al lupo all’editore che ha scelto di investire su di te e più in genere su opere che non rientrano nello standard dell’offerta letteraria attuale.
Ambrose Bierce è già diventato il mio Eroe, con ‘sta cosa sui soldati.
Non ho mai letto niente di suo, ma a questo punto “Il dizionario del Diavolo” dev’essere mio il prima possibile… 🙂
Grazie, Alessandro. Comincio a pensare che i Nei oltre che coraggiosi siano pure geniali, perché contrariamente alla grande editoRAGLIA hanno capito che i lettori come te, stanchi di vangate nei coglioni, ESISTONO, e sono pure tanti!!!!
Grazie a tutti per la considerazione. Ci teniamo, però, a sottolineare che “Quattro soli a motore” dello zio Nick non è solo un romanzo ironico. Il motivo per cui ce ne siamo innamorati è che fa ridere, piangere, pensare, intristirsi, compiacersi, sorridere, ricordare, immedesimarsi, arrabbiarsi, divertire, impaurire e sognare.
Ho dimenticato qualcosa? Sicuramente sì, ma tant’è.
Raro esempio di editore che commuove l’autore anche a posteriori, e non solo all’atto di fargli firmare un contratto! (Sembra di star qui a farsi le serenate, ma è la pura verità…) 🙂
Dovevo un pezzo di risposta ad Alessandro C. Come funziona all’estero? All’estero FUNZIONA. Basti pensare al successo di alcuni fra gli autori che nominavo, e in particolare Amis, Bukowski, Donleavy, Hemon, Shteyngart e Barthelme, tutta gente che certi nostri editors maniaci depressivi liquiderebbero come “autocompiaciuti”.
Come ho scritto una volta sul mio blog (e quindi chiedo scusa, perché so che repetita SCASSANT):
Far sorridere e far ridere dicendo cose serie e toccanti. Far riflettere dicendo cose divertenti. Gli scrittori per me servono a questo. Altrimenti saremmo DATTILOGRAFI DELL’OVVIO.
Sante santissime parole Nicola!!!
Purché per Sante non si intenda… vatikan-papestri! 🙂
Ciao poetessa!
oh, Zio adorabile bimbetto amante di fumetti. È quello che vien fuori più spesso dalla tua scrittura, un insieme di strisce: puro godimento per me :*
Voglio sperare che un posto per uno Jacovitti del romanzo ci sia e, nel caso, il posto ti spetterebbe per diritto! E pensare che ai tempi a Jacovitti venne mossa l’accusa di rappresentare scene troppo violente…..si può essere più paranoici di così? Comunque, ottimo il tuo elogio al tragicomico, approvo incondizionatamente.
Lo prendo per un grande complimento perché so che vuol esserlo, adorabile Milena… Anche se i parrucconi cui accennavo ti prenderebbero alla lettera, e passerebbero con pedissequa pedanteria all’etichettozza successiva: “scrittura bidimensionale”. Bidimensionale stoc**** 🙂
Grazie, Marshall. Sei uno dei miei più recenti “acquisti”, ma già fai parte a pieno diritto delle lettrici grazie alla cui esistenza continuerò a scrivere!!!!
Non ti smentisci mai: tutta la gamma delle emozioni persino con un editoriale !:)
p.s.
sai, vero, che Quattro soli è uscito praticamente in contemporanea con Diario d’inverno…:))
Alla via così caro Nicola. Forse ti fregherà il giusto ma da ragazzina adoravo Jacovitti e ancora mi viene il magone se penso ai miei diari scolastici , con tutti quei meravigliosi salmi con le scarpe, andati chissà come perduti durante un trasloco da Milano a Modena anni fa. Erano zeppi di annotazioni e schizzi …che tristezza.
* giacynta
Ce l’ho già qui, ma aspetto di leggerlo nei giorni fra natale e l’ultimo dell’anno, l’atmosfera più adatta alle letture del cuore…
E chissà se quelli dell’ufficio stampa Einaudi avranno fatto il loro dovere, e a Paul sarà arrivato il Quattro soli con doppia dedica: quella stampata su tutte le copie, più quella aggiunta di mio pugno…
* Sandra
Ne avevo parecchi anch’io, di quei diari… dopo i 7 anni non ho più fatto traslochi, e mi sa che uno di questi giorni proverò a fare una caccia al tesoro in cantina…
Certi prof so’ strani.Ma la gente e8 sranta, in generale.Mia figlia e8 sempre stata sfigatissima, con i suoi.Gli ultimi due anni delle superiori incappf2 in una prof di italiano estremamente malvagia e non era manco la prima che trovava: gie0 alle elementari era stata massarata da una cosec, e io rimpiango di averla avuta giovanissima solo per questo: perche9 mi presero alla sprovvista e non seppi difenderla come la avrei difesa se fossi stata pif9 adulta.Questa delle superiori divenne un incubo, era determinata a convincerla che era scema. Offensiva, distruttiva, mortificante. In quinta, io avevo mia figlia in lacrime tutti i santi pomeriggi, pareva una malattia.Mio marito andf2 a parlarle e finec con lei urlante, una piazzata paurosa.Andai io e quasi non parlai: mi convinsi che era pazza e uscii cosec come ero entrata.Non c’era niente da fare.Tra l’altro, l’influenza negativa di questa donna si era estesa a tutto il consiglio di classe, erano tutti le0 a schifare gli alunni. A volte succede.Poi la Pupi prese in mano la situazione e decise che lei la maturite0, in quella scuola, non l’avrebbe fatta. Non voleva essere esaminata in una simile situazione.E, a marzo della quinta liceo, mi disse che voleva andare in Spagna.Subito.Ed io, pif9 pazza di lei, la appoggiai.Con il resto della famiglia che ci voleva sparare, entrambe, e il mondo che dava l’anno per perso.Traducemmo tutti i suoi documenti scolastici a tempo di record, trovammo gente disponibile al provveditorato spagnolo, facemmo una specie di miracolo e, ad aprile, lei era iscritta all’ultimo anno di una scuola equivalente alla sua in Spagna.A luglio fece la maturite0: aveva cambiato paese, professori, lingua e tutti i programmi. E la passf2.In due mesi, ce la fece.Una soddisfazione che non ti so manco dire.Un trionfo, porca miseria.L’ultimo giorno nella scuola italiana mia figlia ci andf2 apposta per fare il tema con la prof stronza.E invece del tema le scrisse una lettera.Me la raccontf2 dopo, nel pomeriggio.Una lettera gentilissima, garbatissima. Le raccontf2 di se9, dei sogni, delle aspettative deluse, della mortificazione, dell’insicurezza che le era venuta, della sofferenza dell’andare a scuola, tutte queste cose qua.Le disse: Io, con lei, ho smesso di essere capace di imparare. Una lettera molto bella, fu.Poi consegnf2 sto tema e, appunto, se ne andf2.Se a me capitasse una cosa simile come prof, credo che mi sparerei, guarda.Comunque mo’ fa l’universite0, la Pupi. In una lingua diversa da quella in cui e8 cresciuta.E la fa bene, e felicemente.Certe volte, l’obiettivo e8 sopravvivere alla scuola.