Hai voluto la bicicletta? Ora pensa a te di Marina Riboni

Due ruote sottili mordono l’asfalto, si inerpicano sul Col du Galibier. Chi osa sfidare questa tappa mozzafiato del Tour de France? Non un campione e neppure un pirata. In sella è caparbiamente piantato Eugenio Bollini, il protagonista del romanzo d’esordio di Otello Marcacci, Gobbi come i Pirenei, appena uscito dalla scuderia aquilana della Neo Edizioni.

Gregario per natura, Bollini è un ciclista di professione, che non è mai riuscito a raggiungere risultati memorabili, ma neppure così scoraggianti da convincerlo a cambiare rotta. Eterno laureando in filosofia, ha un figlio ormai adolescente e un’ex moglie che lo ha seminato, una volta accortasi di non aver esattamente sposato un fuoriclasse. Un po’ Zeno, un po’ Ulrich – il protagonista dell’«Uomo senza qualità» di Musil – Eugenio soffre della sindrome del Quoziente Intellettivo 130: né troppo basso né troppo alto, anch’esso dannatamente mediocre. Più che sufficiente per capire ciò che nel mondo non va, ma non abbastanza brillante per contribuire a cambiarlo. O forse sì?

Sarà una richiesta del padre in punto di morte a spingere Eugenio, ormai alla soglia del ritiro, a correre il Tour de France un’ultima volta (o forse la prima, dato che le altre non è mai arrivato a Parigi…). E proprio in questo tour emergerà a sorpresa, in un milieu ciclistico involgarito dal doping, il valore vero e puro dello sport, quello che spinge un atleta a spalleggiare cavallerescamente un avversario, a spronarlo nei momenti più scoraggianti della corsa. Il ciclismo diventa così metafora della vita, dove non essere soli di fronte alle salite aiuta a superarle, dove essere puliti e autentici conta più che tenere una coppa in mano, o una maglia gialla incollata alla pelle. Come le ruote di una bicicletta, il romanzo corre sul filo di un sottile equilibrio, tra ironia sferzante ed emozione, tra disincanto e voglia di cambiare, tra riflessione sui disvalori nascosti dietro le realtà più patinate e semplice passione affabulatoria.

Gustosi i camei in un fiorentino alquanto colorito, affidati alla voce telefonica fuori campo del Duca, amico del lucchese Bollini. Qui l’autore – primiparo attempato e grossetano doc, trapiantato a Lucca con la moglie canzese e tre bambine – gioca con lo spirito caustico della sua terra, senza dimenticare di dichiarare per bocca dei suoi personaggi, maggiori e minori, l’incrollabile fede per la Viola.

Una lettura divertente e vivace, con un doppio finale, epico e casalingo al tempo stesso, che accompagnerà gli appassionati di sport, e non solo loro, al Tour.

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