Storia di un gregario vincente – di Barbara Di Gregorio
Cosa fare quando incombono gli anta, tua moglie ti molla, tuo figlio non ti capisce, e tuo padre, in punto di morte, ti strappa una promessa impossibile che tua sorella vuole farti mantenere per forza? Semplice: si resta in sella e si continua a pedalare senza aspettarsi da sé altro che il proprio miserrimo meglio. Ciclista di professione, ossessionato fin dall’adolescenza da un QI assolutamente nella norma (alto lo stretto necessario per percepire «tutto il male del mondo» ma «senza avere la possibilità di guarirlo nè ignorarlo»), Eugenio bollini impara a fine carriera che la sua forza sta nella consapevolezza: sapere di avere dei limiti è il primo passo per riuscire a superarli. Capita così che un uomo qualunque si trovi diviso tra due donne stupende e un semplice gregario, condannato all’ombra dell’anonimato, diventi protagonista e vincitore morale nientemeno che del Tour de France.
“Gobbi come i Pirenei” di Otello Marcacci, romanzo «d’amore, ironia, ciclismo e anarchia», ci conduce alla scoperta del mondo delle gare ciclistiche attraverso gli occhi di un uomo che assomiglia a chiunque; e se è lecito immaginare, come sembra suggerire col suo scanzonato raccontarsi, che vivere è un po’ come correre in bici, forse davvero l’onestà con se stessi è tutto quello che serve per arrivare dovunque. Dietro l’apparente leggerezza di una storia che coinvolge e commuove, il libro di Marcacci nasconde profondità non comuni: azzeccatissima, dunque, la scelta di utilizzarlo come battistrada per la nuova sfida della Neo Edizioni. Pur avendo già dimostrato la propria vocazione poliedrica con un catalogo che comprende romanzi e raccolte di racconti, ma anche poesie e testi per il teatro, la giovane casa editrice abruzzese ci ha abituato finora a testi di attenta ricerca stilistica: con la nuova collana Dry, inaugurata appunto da “Gobbi come i Pirenei”, si propone di indagare adesso il piacere della storia come racconto puro.
Lei è toscano, così come lo sono i paesaggi che racconta e il senso dell’umorismo del protagonista. Come è avvenuto l’incontro con la Neo, nota soprattutto a livello locale?
«Sarà difficile da credere ma Neo è stata la mia primissima scelta. Li seguivo da tempo, ero entusiasta del loro manifesto. Immagini lo stupore quando gli ho inviato “Gobbi”: mi hanno risposto che non c’entravo niente con quel manifesto, ma che mi avrebbero pubblicato perché li avevo convinti lo stesso».
Pubblicare fuori dai circuiti mainstream presenta degli svantaggi (distribuzione più difficile, maggiore resistenza da parte dei potenziali lettori) ma anche numerosi vantaggi (in termini di cura del prodotto e attenzione ai desideri dell’autore). Quella di affidarsi a una piccola casa editrice, per lei, è stata una scelta ragionata?
«Inutile nascondersi: chi scrive vorrebbe essere letto e non essere ben distribuito è un grosso limite. Le grandi case però difficilmente prendono in considerazione outsider esordienti sprovvisti poi anche di contatti giusti. Sono orgoglioso di fare parte della scuderia di Neo».
Sono pochi i romanzi italiani che si occupano di sport, rarissimi quelli dedicati al ciclismo. Lei è un appassionato di bicicletta? Eugenio Bollini è nato ciclista, oppure mentre lo costruiva si è accorto che per raccontarlo al meglio doveva farne un gregario?
«Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane sostenne che la fantasia è un posto dove ci piove dentro. A me è successo davvero così: ho chiuso gli occhi e lasciato che qualcuno mi dettasse la trama. Ho messo il magazzino della mia vita e delle mie conoscenze al servizio della storia: ero io a servire lei, non il contrario. Secondo me è proprio in questo che si percepisce quando siamo di fronte a un buon libro oppure no. Credo che un autore debba essere umile nei confronti della propria storia, piuttosto che voler dimostrare quanto è bravo a scriverla».
Gobbi come i Pirenei è il primo romanzo che pubblica. Difficile non immaginare che possa essere stato, per lei, qualcosa di simile a quello che rappresenta il Tour De France per il suo protagonista. Anche perché siete quasi coetanei. Quanto coraggio le è servito per imbarcarsi nell’impresa? Quanto forte la paura di non essere all’altezza? E quanto assomiglia, il ciclismo, alla scrittura?
«La paura è un sentimento nobile, è alla base della prudenza e io la rispetto. Il panico per me è arrivato quando mi sono reso conto che il libro era davvero uscito. In quell’istante tutti i feedback positivi degli amici si sono azzerati e ho pensato ecco: adesso capiranno che sono davvero un cretino. Ci avevo messo tanto impegno a nasconderlo per anni. Ciclismo e scrittura, vanno a braccetto così come ci va qualsiasi cosa. La sola diversità tra gli esseri umani è la sensibilità: chi ne ha di più soffre di più ma gode anche in modo diverso. Il ritorno di chi mi scrive dopo aver letto il libro me ne ha convinto in maniera definitiva».
Il suo è un romanzo divertente che affronta anche temi seri come il doping. L’umorismo amaro della sua penna sembra prestarsi bene ai più svariati argomenti: saprebbe farne a meno, o lo considera piuttosto la sua irrinunciabile cifra stilistica?
«Penso che il mio romanzo abbia diversi piani di lettura. È divertente ma è anche molte altre cose. O almeno così mi piace pensare. Nella vita tutto cambia, che noi lo vogliamo o meno: per rispondere alla sua domanda, non credo che l’umorismo amaro sarà la mia irrinunciabile cifra stilistica».
Progetti per il futuro?
«Ho appena terminato un altro romanzo che amo forse ancora più che Gobbi. E il romanzo della maturità: spero renda felici i tanti che mi hanno chiesto altro di mio da leggere».